Mariolina Ciarnella – Presidente IRASE Nazionale
“Quello che un Paese avanzato non può permettersi è lo spreco di risorse umane, in particolare dei giovani, che rappresentano il futuro!
Bisogna, quindi, investire sui giovani e sulla loro educazione, se si vuole migliorare e favorire l’occupabilità e l’economia del nostro paese, attraverso un modello di scuola orientativa, che si faccia carico dei bisogni di ogni alunno e che sia consapevole di dover aiutare ciascuno a sviluppare il proprio progetto di vita, in coerenza con i propri sogni e le proprie attitudini ma anche attraverso un conseguente adattamento ragionato alle esigenze del mercato del lavoro e della società.
Questo, però, è possibile solo e soltanto nella misura in cui la scuola tutta, a partire dalla scuola dell’infanzia, diventi sempre più la scuola della persona, che costruisce il percorso educativo sulla base dei bisogni espressi, utilizzando ogni disciplina a supporto di questo macro-obiettivo: la formazione integrale della persona e il suo “ben-essere fisico”, psichico, affettivo.
Intervenire sulla persona, sin dal suo ingresso nella scuola, sostenerne la “motivazione allo studio” e contribuire allo sviluppo delle potenzialità di ciascuno è il primo compito della scuola e lo strumento più efficace per contrastare la dispersione scolastica. Ma non basta questo! L’Orientamento deve coinvolgere l’intera Comunità educante, proporre via via attività più strutturate nel passaggio alla scuola secondaria di primo grado e, nella fase finale del corso di studi, interfacciarsi con le Università, il mondo del lavoro, le imprese, i servizi per il lavoro (centri per l’impiego, agenzie per il lavoro) e le parti sociali, tra cui anche le organizzazioni sindacali sono ricomprese
L’orientamento formativo, infatti, ben centrato sulla persona e sui suoi bisogni, si rivela efficace nei momenti della transizione tra scuola/Università o tra scuola/lavoro, perché fornisce le necessarie informazioni e rafforza le competenze necessarie per affrontare la transizione e la scelta, momento cruciale nella vita dei nostri giovani.”
Tutte le Istituzioni rivolgono oggi grandi attenzioni alle transizioni, sempre più frequenti e significative nella nostra società e nella vita di ogni giovane, spesso impreparato ad affrontarle e superarle senza traumi o insuccessi.
Crediamo che questa incapacità o difficoltà del giovane nell’affrontare le transizioni abbia una radice antica e profonda, che chiama in causa la scuola, il suo compito educativo e il modo in cui esso viene realizzato. Val la pena riaffermare, ancora una volta, quanto siano strettamente e profondamenti collegati la dispersione scolastica e l’orientamento, come già ricordava la prof.ssa Maria Luisa Pombeni docente di Psicologia, Preside della facoltà di Psicologia di Bologna che con i suoi contributi tecnico scientifici è stata ed è un punto di riferimento culturale oltre che scientifico operativo per l’orientamento in Italia.
“La centralità del ruolo strategico attribuito all’orientamento nella lotta alla dispersione e all’insuccesso formativo non è da mettere in discussione.
Il ruolo strategico dell’orientamento viene collegato al fenomeno dell’insuccesso e della dispersione, mettendone in risalto le due facce del problema: da un lato, le ricadute patologiche sul funzionamento del sistema scolastico stesso e le conseguenze sul sistema economico-produttivo e, dall’altro, gli effetti problematici sull’evoluzione delle storie individuali (formative, lavorative, sociali)”
Spesso, però, tale legame non viene colto e le politiche educative ne dimenticano o sottovalutano il collegamento e l’interdipendenza e, quindi, una vera strategia di contrasto alla dispersione scolastica nel nostro Paese ancora non esiste
Perciò, cambiare la strategia dell’orientamento, i suoi servizi, formare gli operatori a una dimensione orientativa basata sulla domanda dell’utente, più che sull’offerta standard, contribuirebbe significativamente a contrastare la dispersione scolastica. Un’efficace strategia educativa da parte della scuola, che si voglia far carico della formazione integrale della persona e sostenerne la fiducia e la motivazione, deve assegnare un nuovo ruolo all’orientamento, non più o non solo informativo e limitato ai momenti di passaggio, ma fondato su un approccio olistico e formativo, che investe il “processo globale di crescita della persona, si estende lungo tutto l’arco della vita, è trasversale a tutte le discipline ed è presente nel processo educativo sin dalla scuola dell’infanzia”.
Va, infine, ricordato che anche l’UE da Delors a Cresson , fino alle ultime Raccomandazioni, non ha mancato di ribadire con due Risoluzioni più volte il ruolo chiave dell’orientamento nella prevenzione e contrasto della dispersione scolastica attraverso un rafforzamento della qualità dei servizi, centrati sull’utente e sui suoi bisogni, della garanzia di accesso ad essi, del coordinamento degli interventi da parte dei Soggetti abilitati e competenti, del cambiamento del modello di apprendimento, dell’importanza delle career management skills e del ruolo chiave delle tecnologie.
Gli elementi per una visione dinamica, integrata e sociale di una strategia anti dispersione, centrata sull’orientamento formativo, deve poggiare su tre elementi:
- centralità della persona, che significa ruolo attivo della persona nei processi di conoscenza, che prendono avvio dall’esplorazione di compiti/problemi tratti dalla realtà e che facciano cogliere il legame tra individuo e realtà, tra formazione e lavoro;
- nuovo modello di docente, che implica un docente non più trasmettitore di saperi, ma costruttore di saperi in collaborazione con gli studenti, nonché guida e sostegno per l’acquisizione delle competenze di orientamento al lavoro o Career Management Skills (CMS);
- patto di corresponsabilità educativa, perché il coordinamento di Soggetti e servizi è l’unica strategia per moltiplicare le opportunità per i nostri giovani, specie per i più fragili, di orientarsi dentro e fuori la scuola.
A questo punto, però, è necessario sottolineare che, nel corso del ventesimo secolo l’orientamento è stato ed è tutt’ora oggetto di studio e tema di confronto fra differenti teorie, sia dal punto di vista ideologico e sia metodologico, specialmente nell’ambito formativo.
All’inizio è prevalsa una concezione “psicologistica” dell’orientamento, che a partire dagli anni ’70 è stata sostituita da una concezione “socio-economica” che vede succedersi tre modelli consecutivi di orientamento di cui il primo aperto al mondo del lavoro e sottomesso al sistema socioeconomico, il secondo chiuso, isolato rispetto al mondo esterno e finalizzato principalmente al successo formativo dello studente e il terzo che favorisce il pieno sviluppo della persona e, allo stesso tempo, inserisce l’individuo nel contesto sociale e nei processi di cambiamento in corso in esso.
In questo processo di ricerca ci sono stati in Italia alcuni contributi teorici di grande rilievo nella letteratura dedicata alla didattica orientativa, tra cui appunto quelli della prof.ssa Pombeni, inizialmente riferiti alla scuola media ma successivamente sempre più decisamente all’intero sistema scolastico.
Proprio lei in Italia , nel 2000 introduceva la nozione di competenze orientative necessarie per auto-orientarsi, distinguendo le competenze orientative specifiche, che si sviluppano esclusivamente attraverso interventi intenzionali gestiti da professionalità competenti, con le cosiddette azioni orientative (di monitoraggio o di sviluppo) dalle competenze orientative generali, finalizzate principalmente ad acquisire una cultura ed un metodo orientativo (orientamento personale) e propedeutiche alle prime, che si acquisiscono principalmente attraverso i saperi formali (per esempio la didattica orientativa).
Nella nostra società complessa, caratterizzata da profondi cambiamenti, ci si interroga su quello che devono “fare” le scuole per far sviluppare queste competenze agli studenti.
Devono semplicemente riprodurre la cultura, uniformare i giovani a uno stesso stile, secondo la concezione sofistica della téchne ad esempio trasformandoli in tanti “piccoli” italiani come sosteneva il Linati dopo l’Unità d’Italia per esigenze di unificazione?
O la scuola farebbe meglio a dedicarsi all’ideale altrettanto rischioso di preparare i giovani ad affrontare il mondo in evoluzione che dovranno abitare?
In questo secondo caso, però, come faremo a decidere quale sarà quel mondo e cosa richiederà loro?
Nel mondo in cui viviamo, in continua evoluzione, l’unica soluzione percorribile per la scuola è quella di educare gli studenti all’autonomia, alla indipendenza, alla responsabilità, alla capacità di inventare il proprio futuro, rendendoli immuni da ogni forma di massificazione, di inquadramento.
Sotto il profilo pedagogico, l’orientamento come approccio educativo suscita quindi molto interesse e ci pone d’obbligo l’interrogativo, se esso debba essere considerato un mezzo o un fine.
Se l’orientamento è considerato un mezzo (téchne educativa/orientativa), per l’educazione delle persone, significa che è un problema di razionalità tecnica e sotto questo aspetto, sarebbe solo una raffinata “tecnica manipolatoria”, attraverso la quale qualcuno si impone su un altro facendogli interiorizzare, come scelte libere ed autonome, gli oggettivi rapporti di forza culturali, personali e sociali delle strutture di potere esistenti.
Se l’orientamento è considerato un fine, per l’educazione delle persone, significa che non è solo un problema di razionalità teoretica o tecnica, ma di razionalità pratica, umana, quella morale, che coinvolge la volontà, la libertà e la responsabilità di ciascuno.
Fin qui è emerso chiaramente che l’orientamento non costituisce più un processo a sé stante o indipendente, che si affianca al processo formativo, bensì si identifica con esso e se ne distingue solo in quanto contribuisce alla chiarificazione della scelta, ponendo, responsabilmente, l’individuo di fronte all’ambiente che lo circonda.
Di qui l’importanza, di un’ipotesi di lettura epistemologica dell’orientamento, per riflettere sul nostro modo di conoscere e di formarci, negli ambienti di apprendimento formali dove quasi tutto l’impianto della conoscenza ruota attorno all’apparato disciplinare e le discipline costituiscono l’oggetto dell’attività formativa.
Le discipline con i saperi che ne conseguono, sotto l’aspetto epistemologico, non sono intese come contenitori o classificazioni di conoscenze (come potrebbero esserlo le materie), ma come strutture e metodologie di pensiero e linguaggi (norme specifiche) per leggere la realtà o come strumenti per agire sulla realtà per una costruttiva integrazione di chi apprende nell’ambiente in cui vive.
Visto il duplice ruolo che può assumere la disciplina, a questo punto, è lecito porsi la seguente domanda: sarebbe bene, insegnare le discipline o insegnare con le discipline?
La mediazione, istruita dalla razionalità pratica, umana, che coniuga insieme le discipline come oggetto dell’apprendere e le discipline come strumento d’azione apprenditiva e formativa, ci conduce al fine dell’azione educativa “buona”: la competenza orientativa.
Alla luce di tutto ciò non si può più considerare nella scuola l’orientamento come un’azione di tipo progettuale, affidata esclusivamente a funzioni strumentali o a figure di sistema, ma si deve , progressivamente acquisire l’ottica orientativa, per una didattica orientativa, come imprescindibile condizione dell’attività didattica quotidiana.
Mariolina Ciarnella
Presidente IRASE Nazionale