I dati presentati in data 06/07/2022 dal presidente dell’Istituto Nazionale per la Valutazione di Sistema, Roberto Ricci, confermano sostanzialmente un andamento costante nel tempo. A livello di scuola primaria non si evincono grosse criticità ma, invece, le stesse crescono in modo graduale nelle scuole secondarie di I grado, per diventare maggiori nel livello 13, cioè nella classe V delle scuole di II grado. Si rileva,comunque,un miglioramento rispetto all’anno 2021 in alcuni aspetti presi in esame ed in particolare nelle prove di lingua inglese.
Dopo i deludenti trascorsi, se analizziamo i dati della scuola primaria, quest’anno il 94% degli alunni raggiunge il prescritto livello A1 del QCER nel reading (prova di lettura) e l’85% lo raggiunge nel listening (prova di ascolto).I risultati migliori li raggiungono gli allievi del nord e del centro Italia con il 95/96% degli allievi che raggiungono l’A1 nel reading, seguiti da quelli del sud con il 92% di allievi che raggiungono il livello A1.
Anche nelle scuole secondarie di primo grado si rileva un miglioramento di due punti percentuali in inglese dove il livello previsto è l’A2 con il 78% degli alunni che raggiunge il livello prescritto nel reading ed il 62% che lo raggiunge nel listening. La scala di misurazione dei livelli di acquisizione delle competenze va dal livello 1, quello in cui si posizionano gli alunni più fragili al livello 5 quello in cui si posizionano le eccellenze. In questa scala il livello 3 è quello considerato adeguato.
Negli esiti di italiano e matematica la scuola primaria tiene bene e la percentuale degli alunni che raggiungono almeno il livello 3 (la sufficienza) in italiano si attesta tra il 72% in seconda classe e l’80% in quinta classe mentre in matematica raggiunge almeno la sufficienza il 70% in seconda ed il 66% in quinta.
Nella scuola secondaria di primo grado si ferma il calo registrato nel 2020 con il 61% degli alunni che raggiunge un livello adeguato in italiano ed il 56% che lo raggiunge in matematica.
Nella scuola secondaria di secondo grado si registra invece una flessione per quello che riguarda il livello di adeguatezza in italiano con il 66% degli studenti che raggiunge la sufficienza, con una flessione di 4 punti percentuali rispetto alla precedente misurazione ed il 54% degli studenti che raggiunge il livello 3 in matematica con una flessione di 8 punti rispetto alla precedente misurazione.
Uno studente su tre non possiede sufficienti competenze nella comprensione di un testo e che quasi la metà degli studenti non possiede sufficienti conoscenze matematiche.
La fotografia che viene fuori dai dati INVALSI è composita con qualche luce e molte ombre. I dati ci dicono che le alunne ottengono risultati migliori nelle prove di italiano rispetto agli alunni che invece hanno risultati migliori in matematica e questo avviene a tutti i livelli di istruzione. La differenza è molto piccola nei primi anni della scuola primaria ma va via via aumentando nei successivi ordini di scuola.
Viene fuori un’Italia divisa geograficamente a metà in cui il sud è in profonda sofferenza. Nella scuola primaria le differenze sono minime ma nel corso della carriera scolastica si andranno ad allargare sempre più ed è lì, ai primi segnali di difficoltà, che si dovrebbe intervenire con azioni mirate e specifiche per colmare il gap che ci portiamo dietro da troppi anni ormai.
Inoltre, si rileva ancora una volta che la nostra scuola è meno efficace quando l’utenza ha uno status socio economico basso e ciò vale per tutti gli ordini di scuola.
Come nel 2019 le prove INVALSI ci restituiscono l’immagine di una scuola che non riesce a portare gli alunni in condizioni socioeconomiche svantaggiate al livello dei compagni più fortunati tanto che i dati rilevano proprio lì le maggiori criticità. Oggi il Ministro Bianchi ha detto che non dobbiamo sorprenderci per il divario presente tra il nord ed il sud del Paese perché esso è la conseguenza del divario economico esistente da sempre. Dovremmo dunque prenderne atto e sperare che piano piano i risultati continuino a migliorare senza prendere provvedimenti forti ed immediati?
Dalle prove poi viene fuori anche un gender gap che ci viene rimproverato anche dall’OCSE per quello che riguarda le abilità in matematica delle nostre studentesse e questo nonostante gli sforzi messi in campo dall’Unione Europea e dal nostro parlamento che pure ha promosso numerose iniziative volte a favorire la partecipazione delle bambine e delle ragazze ai percorsi scientifici.
Durante la presentazione dei dati ci sono state dipinte le prove come “bene comune” perché accessibili ed utilizzabili dalle scuole e dai docenti. Purtroppo queste rilevazioni non hanno portato ad un effettivo miglioramento dei risultati, non hanno avuto la ricaduta auspicata e viene da chiedersi se dopo più di un decennio sia ancora opportuno spendere tante risorse economiche e umane per la loro realizzazione. Bisognerebbe riflettere anche sull’opportunità di verificare le capacità degli allievi con domande a tempo. Con questa modalità non si riescono a disegnare le reali competenze degli studenti, a comprendere la complessità del processo di apprendimento che porta alla risposta voluta dalla prova. Forse il tempo fornito o forse la formulazione dei quesiti non sono completamente in linea con quanto viene richiesto ai nostri studenti dalle scuole.
Quando le prove vengono analizzate in classe, senza l’orologio alla mano e vengono “smontate” e discusse rivelano la loro validità, diventano occasione di riflessione e di apprendimento, utile supporto alla didattica.
Si ha il tempo di riflettere sui risultati, di rivedere le strategie didattiche, di introdurre cambiamenti, di intervenire dove le situazioni lo richiedono, nelle scuole oberate di impegni, adempimenti burocratici, compilazione di decine di documenti? I docenti fanno un lavoro faticoso, impegnativo e di grande responsabilità, la restituzione degli esiti alle scuole fa ricadere su di essi la responsabilità dei risultati quando, spesso, sono dovuti ad altri fattori come ad esempio classi non omogenee tra loro ed eterogenee all’interno.
Il Ministro ha posto fortemente l’accento sulla formazione dei docenti e sul progetto della scuola di Alta Formazione ma mi chiedo se una formazione calata dall’alto possa davvero soddisfare le esigenze delle diverse realtà scolastiche del Paese o se non sia più opportuno promuovere processi di miglioramento grazie ad una formazione disegnata su misura di ogni scuola. La didattica deve tornare ad essere prioritaria e la formazione deve essere adeguata e contestualizzata.
Elena Del Vecchio Ferraro