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DECRETO INTERMINISTERIALE N. 182 DEL 29 DICEMBRE 2020 E NUOVO PEI TRA PUNTI FORTI E CRITICITA’

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  • Articolo pubblicato:Febbraio 2, 2021
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La storia del Piano Educativo Individualizzato (PEI) parte con la legge 104/92, dedicata all’assistenza, all’integrazione sociale e ai diritti delle persone con disabilità e prosegue con le modifiche introdotte negli anni successivi con il decreto legislativo 66/2017 modificato dal D.Lgs n. 96/2019 ed oggi con il Decreto interministeriale n. 182 del 29 dicembre 2020. Nello specifico il D. Lgs 66/2017 sostituisce il Profilo Dinamico Funzionale e la Diagnosi Funzionale unendoli in un unico documento che prende il nome di Profilo di Funzionamento introducendo, inoltre, in maniera definitiva la prospettiva bio-psico-sociale del modello ICF tanto nel profilo di Funzionamento quanto nel PEI.

La Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute (ICF) fa parte della Famiglia delle Classificazioni Internazionali dell’OMS insieme all’International Statistical Classification of Diseases and Related Health Problems 10th revision (ICD-10), all’International Classification of Health Interventions (ICHI), e alle Classificazioni derivate. La versione ICF per Bambini e Adolescenti (ICF-CY) è una classificazione “derivata”, approvata dall’OMS nel 2007, basata su ICF.

L’acronimo ICF sta ad indicare la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute e fa parte della più ampia famiglia delle Classificazioni Internazionali dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità). Tenuto conto delle “date di nascita” dell’ICF e della versione CY, l’introduzione all’interno del PEI e del Profilo di Funzionamento appaiono sicuramente come un importante punto di forza di tale modelli che, sebbene, con un discreto ritardo si adattano al modello bio-spcio-sociale.

Il modello bio-psico-sociale, rappresenta uno dei più importanti principi di ICF perché permette di guardare all’individuo nella sua interezza. Esso, infatti, pone sullo stesso piano sia gli aspetti riguardanti la salute della persona (modello medico) che le sue caratteristiche personali come il carattere, lo stile di apprendimento, le motivazioni (modello psico) e i fattori ambientali (modello sociale) che possono facilitare o ostacolare lo svolgimento delle comuni attività o la partecipazione sociale. La disabilità, quindi, è vista come un’interazione fra la condizione di salute del soggetto ed i fattori contestuali (cioè fattori ambientali e personali) con un’interazione dinamica fra questi fattori che possono modificarsi reciprocamente. Quindi, secondo il modello ICF, le performance (ossia i comportamenti) non dipendono unicamente dalla condizione di salute del soggetto ma dalla sua interazione con un contesto che può favorire una buona performance oppure ostacolarla, per esempio non prevedendo sostegni adeguati ai bisogni della persona. Assumono, dunque, particolare importanza i concetti di facilitatori che, se presenti nel contesto, permettono una performance migliore e quelli di barriera che, se presenti, peggiorano le performance. Nell’affrontare la tematica della disabilità non si può, in altri termini, prescindere dal contesto in cui la persona vive.

Si apre, tuttavia, un primo punto di criticità: il modello ICF, fino ad oggi è stato appannaggio di poche scuole e prevalentemente dei docenti specializzati sul sostegno. Questo fatto unito a quello che traduce il nuovo PEI  in una preziosa occasione per qualificare ulteriormente l’impianto inclusivo, considerato che cambieranno le modalità di realizzazione dei Piani Educativi Individualizzati e di assegnazione delle misure di sostegno per gli alunni con disabilità, è fondamentale per far capire l’importanza di  supportare le scuole con appropriate azioni di accompagnamento che si traducono anche  in attività di formazione in modo che possano procedere in maniera efficace.

In conseguenza, pertanto, di quanto fin qui detto nel nuovo modello di PEI gli interventi non vertono più solo sulle strategie, modalità e strumenti da utilizzare con l’alunno, ma sono finalizzati anche a realizzare un ambiente di apprendimento più inclusivo attraverso quella che è l’osservazione e, successivamente, il rafforzamento dei facilitatori presenti e l’eliminazione delle eventuali barriere. Si sottolinea che nella terminologia ICF facilitatori e barriere sono da intendersi, tuttavia, non solo come quelli legati all’ambiente fisico, sicuramente di più facile individuazione, ma anche quelli legati all’ambiente sociale (relazioni con adulti di riferimento e pari) e agli atteggiamenti.

Ecco dunque il secondo punto di criticità: siccome sarà utile e necessario anche una autovalutazione da parte dei docenti in merito alle relazioni instaurate con gli alunni oggetto del PEI e dei loro atteggiamenti nei loro confronti. Sarà facile autovalutarsi?

Ulteriore aspetto importante riguarda il linguaggio unificato e standard per la descrizione della salute e degli stati ad essa correlati. Tra gli scopi di ICF vi è, infatti, quello di costituire un linguaggio comune allo scopo di migliorare la comunicazione fra operatori sanitari, ricercatori, pianificatori, amministratori pubblici e popolazione, incluse le persone con disabilità. Tutto ciò anche grazie alla presenza di codici alfanumerici che identificano ogni item dell’ICF e ad una serie di quantificatori che definiscono e specificano il grado di compromissione degli item altrimenti neutri. L’uso di codici e quantificatori che, si badi bene, devono aggiungersi e mai sostituirsi ad una descrizione della situazione dell’alunno, cercano di dare oggettività e di permettere una uguale interpretazione a chi legge.

Di qui la terza criticità: nel nuovo modello di PEI non vi è spazio per i codici che, sebbene, non vietati nell’utilizzo da parte di chi mastica ICF purtuttavia non essendo previsti allontanano il momento in cui verranno effettivamente utilizzati in parte snaturando l’ICF stesso.

Quarto punto di criticità, almeno nella situazione attuale, è dato dalla discrepanza temporale tra la messa in atto di un PEI in ICF che dovrà essere redatto già da ottobre 2021 e l’assenza ad oggi delle linee guida e dei decreti attuativi del Ministero della salute per quanto concerne il profilo di funzionamento. E’, a tal proposito, opportuno sottolineare che, sebbene sia possibile redigere un PEI in ottica ICF in assenza del relativo profilo di funzionamento, risulta tuttavia, mancante di una parte fondamentale. Questa discrepanza temporale, dunque, per un periodo non meglio precisato, non favorirà quel linguaggio universale e condiviso obiettivo dell’ICF.

 

Un primo punto di forza, invece è l’utilizzo di un modello unico di PEI che eliminerà, finalmente, quella fastidiosa eterogeneità che in taluni casi, più che portare all’utilizzo di modelli vicini alle esigenze peculiari delle singole realtà scolastiche, sembravano portare solo ad una babele che si poneva come muro insormontabile rispetto alla universalità di un linguaggio comune. Appare positiva anche la scelta di una differenziazione di modelli a seconda dell’ordine di scuola.

Altro elemento che indubbiamente strizza l’occhio all’inclusione reale dei bambi/e, alunni/e e studenti/studentesse con disabilità è la composizione dei GLO (Gruppo di lavoro operativo per l’inclusione) che vede la partecipazione oltre che del Dirigente o di un suo delegato, dei genitori o di chi ne esercita la potestà, di figure professionali interne o esterne all’istituzione scolastica, anche di tutti i docenti del team o del consiglio di classe. Si auspica, dunque, una partecipazione di tutti i docenti. Non, dunque, come accadeva in talune realtà, delega al docente di sostegno ma corresponsabilità da parte di tutti.

Questo, però pone un problema (quinto punto di criticità): gli incontri, come stabilito dall’art. 4 comma 5 del decreto interministeriale 182/2020, “si svolgono, salvo motivata necessità, in orario scolastico, in ore non coincidenti con l’orario di lezione”. Ma non diventa quasi un ossimoro affermare che debba partecipare tutto il consiglio di classe o team docenti ed affermare contemporaneamente che debbano svolgersi in orario scolastico?Se viene considerato un organo collegiale perché non farne rientrare gli impegni, per i docenti, nelle attività funzionali all’insegnamento e prevedere un compenso o recupero per i componenti appartenenti al personale ATA?

Elemento innovativo e positivo appare essere , invece, quello relativo alle tempistiche. Il PEI andrà redatto “di norma, entro il mese di Ottobre”. Come può, infatti, essere strumento utile un PEI redatto ad anno scolastico ormai inoltrato? Il PEI deve essere strumento ed in quanto tale deve dare indicazioni in merito alle strategie, metodologie da utilizzare e per far ciò appare ovvio che debba essere redatto ad inizio anno, salvo eccezioni! Si ribadisce, inoltre, la necessità di almeno un incontro di verifica durante l’anno, necessario per capire se opportuno apportare modifiche o se le strategie stabilite ad inizio anno stanno funzionando ed, infine, un incontro entro il mese di Giugno avente il duplice obiettivo di avere funzione di verifica e necessario per formalizzare la proposta di sostegno didattico per l’anno successivo.

Ulteriore elemento di forza verte sull’autodeterminazione degli studenti e delle studentesse delle superiori che partecipando al GLO diventano protagonisti attivi, laddove, ovviamente, possibile, del loro percorso.

Per la possibilità di esonero rispetto ad alcune discipline ( sesto punto di criticità)è importante, invece, che si comprenda che questa dovrebbe essere una possibilità da percorrere solo dopo aver provato step by step: Sostituzione – facilitazione – Semplificazione-Scomposizione dei nuclei fondanti ed, infine, Partecipazione alla cultura del compito.

E’ necessario che l’esonero non venga vissuto come esclusione rispetto alla classe. Le eventuali uscite dalla classe, laddove necessario (esonero non significa in automatico essere fuori dalla classe) devono rientrare in un progetto nell’ambito del quale si “mettono sui piatti della bilancia” vantaggi e svantaggi e ci si chiede quale obiettivo si riesce  a raggiungere. Inoltre bisogna stare attenti perché si potrebbe avere  il rischio di “sdoganare” forme di esclusione e segregazione che vanno nella direzione contraria rispetto ai principi dell’inclusività e del diritto allo studio.

Rimangono, infine, alcuni elementi che andrebbero specificati in misura più puntuale quali il passaggio tra possibilità di percorso personalizzato e percorso differenziato (quale il confine?) e l’assegnazione delle ore di sostegno. Il decreto, infatti, interviene anche con una modifica dei parametri per l’assegnazione delle ore di sostegno agli alunni con disabilità, ed è quindi un provvedimento che può avere ricadute molto pericolose, poiché mette in discussione l’automatismo per cui alla disabilità connotata da condizioni di gravità, art. 3 c. 3 della L 104/92, corrisponde il massimo delle ore di sostegno, il cosiddetto rapporto 1:1 tra docente e alunno.

Le tabelle allegate al decreto stabiliscono una stretta correlazione tra la severità della disabilità rapportata alle varie dimensioni dell’alunno (definita “debito di funzionamento”) e l’indicazione del fabbisogno di risorse professionali prevedendo, in base all’entità delle difficoltà, un range di ore che va da un minimo a un massimo. Intravediamo in questo meccanismo il rischio di assegnazione al ribasso dei docenti di sostegno e di conseguente penalizzazione dei processi di inclusione.

Se quindi l’avvicinamento al modello ICF è condivisibile come strumento di analisi dei bisogni educativi, purtroppo la traduzione di questo modello rispetto alla quantificazione oraria dell’intervento educativo rischia di produrre delle storture, come una complessiva riduzione delle cattedre di sostegno in deroga, quello che le famiglie ottengono quando fanno ricorso e si vedono riconosciuto il rapporto 1:1 nei casi più gravi.